Si è spenta a Roma il 2 settembre 2018 Katyna Ranieri, cantante fiorentina e vedova del compositore di musica da film Riz Ortolani. Fu l’unica italiana ad aver cantato a una notte degli Oscar, nel ’64. L’anno scorso ebbi modo di farle una lunga intervista nella sua villa a Roma: una vita lunga e avventurosa, la sua, fra accuse di bigamia, incontri incredibili – da Fidel Castro a Hitchcock, a tutti i grandi attori di Hollywood – un Grammy Award e tante canzoni di successo. Nel 2017 ebbi modo di incontrarla nella sua villa a Roma. E quella fu l’ultima intervista che ha concesso.
Volti in primo piano che si commuovono fino alle lacrime. Amici che si abbracciano ed esultano, forse a un goal della squadra del cuore. Bimbi e famiglie che ridono felici. E in sottofondo una voce calda e cristallina che parte quasi sussurrando, per esplodere in un crescendo di violini. In tanti si saranno chiesti quale fosse la canzone che faceva da sottofondo allo spot televisivo di Sky andato in onda fino a qualche settimana fa. Domandandosi se quella voce suadente ed espressiva, che canta in perfetto inglese, fosse magari di qualche cantante americana di musical. E invece «Oh my love» – questo il titolo del brano – è una canzone tutta italiana. La compose nel 1971, per il film «Addio zio Tom», il grande autore di colonne sonore Riz Ortolani, scomparso nel 2014. Il testo e la bellissima voce sono della moglie, Katyna Ranieri, novant’anni compiuti da pochi mesi e splendidamente portati. Una vera signora della canzone italiana dalla carriera straordinaria, che con Ortolani ha costituito un binomio inscindibile di vita e di arte.
Quello di Katyna Ranieri è un nome noto in Italia, grazie a un secondo posto a Sanremo nel 1954, ma ancora di più all’estero dove si è svolta gran parte della sua vicenda artistica. In Sudamerica prima e poi negli Stati Uniti, dove raggiunse una popolarità tale da essere l’unica italiana invitata a Hollywood a cantare alla cerimonia degli Oscar, nel 1964. Quella sera interpretò la sua canzone più nota, «More», composta sempre da Ortolani, uno dei brani della musica da cinema più famosi di sempre che quello stesso anno riceverà un Grammy Award e che, inciso da oltre mille artisti, fra cui Frank Sinatra e Marvin Gaye, ha venduto oltre settanta milioni di dischi. Una vita, quella di Katyna Ranieri, piena di successi, grandi incontri – da Hitchcock a Fidel Castro – e collaborazioni di primo piano.
Incontrarla nella bella casa fuori Roma significa fare un tuffo nella storia della musica e dello spettacolo internazionale: alla pareti, le foto di una vita di amicizie di lei e Ortolani con registi e stelle di Hollywood: Fellini, Dino Risi, Mastroianni, Robert Redford o Walter Matthau. Katyna si presenta come una diva d’altri tempi, elegantissima nel suo vestito azzurro a motivi floreali e coralli, la fascia turchese in testa, in tinta con gli orecchini, i grandi occhiali da sole bianchi. Una presenza ancora teatrale. Del resto, è orgogliosa di quella che è sempre stata la sua cifra artistica: un’interpretazione non solo canora, ma anche fatta di gestualità, di presenza scenica. «“La Ranieri è superba”, dicevano. Beh, non ero una qualunque. Anche nel canto avevo una gestualità tutta mia, che mi proveniva dal background che le altre non avevano», ricorda.
Nata nel 1927 a Follonica, sulla costa toscana, l’infanzia e l’adolescenza le trascorse a Firenze dove il padre, maresciallo dei carabinieri, era stato trasferito. «Abitavamo vicino al vecchio Teatro comunale. Io, bambina, passavo le serate a guardare i macchinoni neri che arrivavano, le signore che scendevano in volpe bianca, gli uomini in tight. E questo colpiva la mia fantasia». Katyna trova maestre straordinarie cui riconduce la sua originalità successiva. «Ho studiato danza con Kyra Nijinsky, figlia di Vaclav, uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi. Mi palava di lui, mi faceva conoscere e apprezzare la musica, mi insegnava una forma di ballo più moderno. Era un ambiente straordinario e stimolante: l’essenza stessa della danza». Studia anche canto, con Nerina Baldisseri, «una vera chanteuse di stile francese, con uno charme straordinario, cantante non da opera ma da concerto. Dai dieci ai diciotto anni ho incamerato tutto quello che c’era di più raffinato dalle grandi persone che, per caso, ho avuto la fortuna di incontrare».
Arriva la guerra, le bombe su Firenze, anni difficili e dolorosi. Poi nel ’46 tutto ricomincia. «Feci un’audizione per un circolo delle forze armate Usa. Presentai due canzoni in inglese: sentita e presa!». Nel frattempo Katyna sposa il primo marito, Eusepio Sternini, da cui ha un figlio. «Un matrimonio errore di gioventù», ricorda. A Firenze ci sono per lei anche i primi spettacoli in teatro, con Odoardo Spadaro. Ma la svolta arriva con la radio. A presentarla alla Rai è un impresario teatrale che l’aveva sentita cantare. «Al varietà radiofonico “Rosso e nero”, condotto da Corrado con l’orchestra di Pippo Barzizza, presentai un pot-pourri di canzoni italiane e spagnole. Non ricominciava più la trasmissione, tanti erano gli applausi. Fu allora che mi offrirono Sanremo, di cui non sapevo neppure l’importanza». Alla prima partecipazione al Festival, nel 1953, presenta «Acque amare», «Una canzone bella e difficile che tutti gli altri avevano rifiutato perché non volevano rischiare». Non si qualificò per la fase finale, ma fece ugualmente una gran figura. «Tutti si erano concentrati sulla guerra fra Nilla Pizzi e Carla Boni. Io fui un’outsider: nessuno sapeva chi fossi, da dove venissi. E poi ero la più elegante, coi vestiti di una sarta fiorentina, Diana Pecori, che credette subito in me: “Mi pagherà quando avrà fatto carriera”, mi disse prima di Sanremo. Mi ha vestito poi per tutta la vita».
L’anno successivo, era il 1954, Katyna ci riprova. «Ma a una condizione che imposi: vengo solo se posso scegliere il brano. E scelsi la “Canzone da due soldi”; la voleva pure Natalino Otto, ma poi cedette». Katyna si fece notare per l’interpretazione originale. «Andai dal direttore Semprini e gli dissi: “Qui tutti cantano impalati davanti al microfono. Questa invece la potremmo fare come una sorta di canzone da strada in cui io mi muovo sul palco”». Ecco che quel piccolo quadretto teatrale e vivace si distingue dallo stile ingessato degli altri interpreti. E in quel Sanremo ’54 la «Canzone da due soldi», con quella melodia nostalgica ma un po’ swing, conquista il secondo posto.
Pochi mesi dopo, si imbatte nell’amore della vita, Riz Ortolani, appunto. A più di sessant’anni di distanza, Katyna ricorda ancora minuto per minuto quell’incontro col compositore pesarese. «Era il 14 luglio ’54. Dovevamo fare un’incisione insieme e lui aveva realizzato un’orchestrazione sorprendente: voleva farsi notare musicalmente. E c’è riuscito. Il giorno dopo siamo usciti insieme. A un certo punto fermai la macchina e a bruciapelo gli chiesi: “Ma lei, che cosa vuole da me?”. “Lei mi interessa. Vorrei conoscerla”, rispose maciullando la sigaretta fra le dita. L’ho guardato e sono scoppiata in una risata: “E allora conosciamoci!”. Non ci siamo più lasciati; abbiamo fatto una vita insieme».
Gli inizi fra Katyna (seppur separata legalmente dal primo marito) e Riz sono stati avventurosi, non facili nell’Italia pre divorzio. Katyna è in Sudamerica, sull’onda del successo del primo album, «La ragazza di Piazza di Spagna», cantato in quattro lingue. «In Messico ebbi un successo straordinario, inaspettato, con serate sempre da tutto esaurito e un mio programma settimanale in tv. Guadagnavo bene, ero rispettata. Non avevo più gelosie intorno come in Italia. Era il 1956. Dissi a Riz: “Io non torno”. E lui: “Bene, allora vengo io. Mi toccherà sposarti”. Detto fatto; arrivò in Messico e una settimana dopo ci siamo sposati». Un matrimonio non valido in Italia e che, dopo la denuncia da parte del primo marito, le costerà la condanna a otto mesi per bigamia (poi amnistiata nel ’60). Una situazione risolta definitivamente nel 1964 con l’annullamento del primo matrimonio e le nozze italiane con Ortolani da cui avrà una figlia.
La carriera sudamericana è folgorante. «Quando sono partita per il Messico non avevo mai messo in scena quello che si chiama “one woman show”, lo spettacolo di un’artista sola sul palco. Era qualcosa di comune all’estero, ma totalmente nuovo per me italiana. Ho messo su una scaletta ed è arrivato il successo. Dopo, sono andata a Cuba, poi in Venezuela, in Brasile, dove vinsi il disco d’oro, e poi ancora in Messico». A Cuba ha fra i suoi ammiratori anche Fidel Castro, fin da prima della rivoluzione. «Quando poi prese il potere nel 59 mi fece invitare perché tornassi a cantare sull’isola. La gente non usciva più volentieri di casa: con un mio spettacolo, si sperava che sarebbe tornato a farlo. Sarei andata, ma in quell’occasione non potei: dovevo andare a Hollywood».
Già, gli Usa: Los Angeles, Las Vegas, New York: è qui che la stella di Katyna raggiunge l’apice. «Vivevamo in Messico. Mi arriva una telefonata “Are you ready to open the new splendid Ciro’s in Hollywood, baby?”. Se ero pronta a esibirmi nel rinnovato Ciro’s di Hollywood, il locale più famoso del Sunset Boulevard? “Yes, of course!”, risposi entusiasta. Con Riz prendemmo casa a Hollywood e preparammo un bellissimo spettacolo di canzoni, con un complesso di otto elementi. Si apriva il sipario d’argento, due ragazzi srotolavano il tappeto rosso e comparivo io sul palco a cantare. Tutte le sere era un grande evento. C’era tutta Hollywood. Venivano i grandi attori, quelli già noti e quelli più giovani. Artisti come Dinah Shore, Mitzi Gaynor, James Coburn, Peter Lorre, John Wayne. Sembrava un sogno ma io lo vivevo in maniera normale. Pensi che il giorno del debutto, mi arriva una chiamata in camerino. Era il grande Duke Ellington che mi faceva le congratulazioni».
Un’italiana, con la sua voce e la sua personalità, ma perfettamente integrata nello spirito e nella musica americana. «Un giorno, prima dello spettacolo, si presenta un’attrice molto carina, Barbara Rush, portando con sé Alfred Hitchcock. Rimasi esterrefatta per l’emozione. Gli porsi la mano, come in un sogno. Lui la prese con delicatezza, fece il baciamano e diventò tutto rosso come un gambero. Si era emozionato. E chi le dimentica, cose come questa?». Nei primi anni Sessanta Katyna va in tour nei locali più famosi degli Usa: la Persian Room del Plaza e il Waldorf Astoria a New York, il Cocoanut Grove a Los Angeles, il Fairmont a San Francisco, la Palmer House e il Drake a Chicago, l’Eden Roc di Miami o il Cork Club di Houston. Va anche nei programmi televisivi più popolari, dall’Ed Sullivan Show allo Steve Allen Show, fino al Tonight show di Johny Carson.
Da qui alla notte degli Oscar del 13 aprile 1964 il passo è breve. La canzone «More», scritta da Ortolani, è fra le nomination della Academy. E Katyna – unica italiana di sempre a cantare alla cerimonia delle statuette – viene chiamata a interpretarla sul palco durante la cerimonia di assegnazione dei premi, con Sammy Davis Jr che, al termine della performance, le si inginocchia davanti mentre il teatro viene giù dagli applausi. «Che emozione incredibile», ricorda. «Fu una serata stupenda. Dietro le quinte ricordo Julie Andrews che quella sera consegnò a Fellini il premio per Otto e mezzo». Rivendica con orgoglio Katyna: «Non solo sono stata l’unica italiana a cantare agli Oscar, ma sono stata la prima delle sole tre cantanti straniere che lo hanno fatto: le altre furono le inglesi Petula Clark nel 1970 e poi Adele nel 2013». «More» non vinse l’Oscar ma, qualche settimana dopo, la canzone valse a Ortolani un Grammy Award, consegnato proprio a Katyna da Count Basie.
«La stessa notte degli Oscar, Liberace mi aveva visto alla tv e aveva fatto chiamare il mio agente per propormi un tour con lui nelle maggiori università». Liberace, l’eccentrico e famosissimo pianista, interprete di un «pop con un po’ di classica», come definiva lui stesso i suoi show dalle coreografie mirabolanti e un po’ kitsch. Alla sua vicenda è dedicato il film «Dietro i candelabri», con Michael Douglas e Matt Damon. «Era un perfetto gentiluomo, niente a che vedere con quello che hanno rappresentato in quel film. Abbiamo fatto concerti in una quindicina di università in tutti gli Usa, in auditorium da 15mila persone sempre in delirio. Io mi avvicinavo al microfono e dicevo: “Ladies and gentlemen… Io ho il pianista più costoso del mondo”. Entrava lui e al piano mi accompagnava su “More”. Poi io facevo le mie canzoni».
Nel ’70 Katyna prende una decisione drastica. «Ho lasciato la carriera solista. Volevo vivere la mia vita accanto a Riz. Se mi sono pentita? Ma per niente!». Ortolani si dedica sempre più alla composizione per il cinema. Una carriera prolifica, con più di duecento colonne sonore, dal «Sorpasso» fino a «Fratello sole, sorella luna», solo per citarne alcune. Tarantino ha usato suoi brani per «Kill Bill vol. II» e «Django unchained». E la stessa canzone cantata da Katyna nello spot di Sky è stata usata in «Drive» di Nicolas Winding Refn nel 2011. Tanti i riconoscimenti per Riz Ortolani: oltre al già citato Grammy e alla nomination degli Oscar ’64, venne nominato per la statuetta anche nel ’71 («Till love touches your life»). E vinse un Golden Globe nel ’66 («Forget Domani»), premio per il quale ha ricevuto altre due nomination, ancora nel ’66 e nel ’71. La simbiosi nella vita e nell’arte con Katyna, interprete di molti dei suoi brani, era totale. «Insieme davamo all’orchestra qualcosa di diverso dagli altri, per lo meno una sensazione più calda, più appassionata», racconta. «Ed eravamo sempre in giro per il mondo, con attori, cantanti, musicisti: Ella Fitzgerald, Tony Bennett, Tom Jones, Barbra Straisand». Negli anni Ottanta Katyna si è dedicata anche a concerti con le musiche di Nino Rota per Fellini, complete di parole: «Solo un paio avevano già un testo, “La strada” e “Le notti di Cabiria”. Per il resto, erano tutti da fare; me li scrissero Amurri, Verde, Iaia Fiastri, Fornai. Ciascuna ricalca il film. Come ad esempio quella scritta da Amurri sul tema della “Dolce vita”, una canzone molto dura sulle perversioni e le stupidità di via Veneto. Federico, nostro grande amico, rimase entusiasta e mi scrisse una bellissima lettera».
Katyna ha smesso di cantare in pubblico nel 2009, a 82 anni. Gli occhi si inumidiscono mentre vicino al pianoforte rivede la bacchetta da direttore del marito, scomparso tre anni fa. «Io e Riz non eravamo persone normalissime, eravamo diversi. Eravamo una cosa sola ».
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