Tre momenti di Maradona che non dimenticherò mai

Il mio primo ricordo legato a Maradona risale al luglio 1984. Avevo dieci anni ed ero in vacanza coi miei, al mare a Grosseto. Quel giorno avevamo deciso di andare a fare un picnic sul monte Amiata, a Santa Fiora. Eravamo in un parco, con una coperta per terra, sotto gli alberi. Mia mamma, come sempre in questi casi, aveva portato tutta l’attrezzatura e cucinava la pasta con un fornellino da campeggio. Avevamo anche la radio, un apparecchio Grundig nero con la scala parlante illuminata. Alle una non poteva mancare il gr Rai. E fra le notizie, c’era proprio quella dell’arrivo di Maradona a Napoli. Ricordo il servizio, l’intervista a Ferlaino, la grande festa che le voci e i cori alla radio lasciavano solo immaginare.

Ero molto tifoso, allora. Della Fiorentina, naturalmente. E d’estate, quando il pallone era fermo, seguivo ogni mossa del calciomercato. Non c’era volta che, proprio al ritorno dal mare, non chiedessi ai miei di fare una deviazione per Casteldelpiano, sempre sull’Amiata, dove la Fiorentina andava per il ritiro estivo.

Due anni più tardi, è il giugno del 1986, due mesi dopo Chernobyl. La raccomandazione è ancora quella a evitare latte e verdure a foglia larga. Ci sono i mondiali in Messico. Per qualche giorno al mare raggiungo i miei zii a Rosignano Marittimo. C’è mio cugino Lorenzo, non ha ancora quattro anni e per lui i mondiali sono baloccarsi con la mascotte dei mondiali, Pique, il peperoncino col sombrero trovato negli ovetti di cioccolato. Ma per me, no. Nonostante gli orari proibitivi per il fuso orario, mi sveglio nel cuore della notte per vedere le partite. Le guardo sul televisore in bianconero del salotto della casa presa in affitto dai miei zii, la stanza dove dormo su un divano letto che mi faceva subito vacanza. Il televisore fa le bizze, non è proprio un ultimo modello. Bisogna premere il pulsante dieci minuti prima “perché così si scalda”. E non è finita, bisogna aggeggiare un po’ su una rotella per cambiare la sintonia e regolarla al meglio possibile, sperando che non salti. L’audio, di notte, va tenuto a zero: si sveglierebbero tutti, specialmente Lorenzo e sarebbero guai. Per sentire il commento, accendo una radiolina a transistor e mi metto l’auricolare. La sincronia fra le immagini e la radiocronaca non è il massimo, ma va bene così. Ecco, è su quello schermo bombato che deformava le immagini rendendole tondeggianti che vidi in diretta i due gol più famosi di Maradona in Argentina-Inghilterra, il 22 giugno. La nota  e contestatissima “mano de dios” al 51esimo. E, pochi minuti dopo, quella ipnotica cavalcata, il gol del secolo, il gol più bello del mondo. Era bellissimo pure visto su quell’apparecchio Voxson bianco anni settanta. L’altro mio ricordo di quella vacanza al mare, parrà strano per un dodicenne ma è così, è una locandina della Nazione, pochi giorni dopo. Annunciava le dimissioni del primo governo Craxi. Ho ricontrollato ora: era il 27 giugno 1986.

A sentire mio babbo, l’ho costretto per anni a fare l’abbonamento allo stadio. Non è così, si divertiva anche lui, ne sono sicuro. Quella domenica 4 gennaio 1987 se la ricorda ancora pure lui. C’era Fiorentina-Napoli. A Firenze veniva il Napoli capolista, il Napoli di Maradona. Ricordo che quel giorno in Maratona al Comunale (non ancora Franchi) c’era molta più gente del solito. I posti avevano una blanda numerazione, con una striscia rossa verniciata e stinta; non c’erano i sedili come adesso: bisognava portarsi il cuscino (viola) da casa per stare un po’ più comodi.  Le ristrutturazioni di Italia 90 non avevano ancora distrutto la pista di atletica. 

Anche se nessuno rispettava mai i posti assegnati, quel giorno si vedeva che c’era molta più gente del solito. Tantissimi i tifosi napoletani, molti, ricordo bene, con un biglietto che aveva la stessa numerazione dei nostri posti di abbonati. L’atmosfera era colorata e festosa. Ricordo che molti furono costretti a seguire la partita dalle scale. “Non si preoccupi, dottò. Se ci si stringe, ci sta pure la creatura”, fece uno a mio babbo prendendomi accanto a sé. “Ha mica una sigaretta?”, gli aggiunse subito dopo, prima di ributtarsi in un “sai perché mi batte il corazòn / ho visto Maradona / ho visto Maradona” che continuò, sgolandosi, per tutto il match. 

La partita fu bellissima. Antognoni e Maradona si scambiano strette di mano e gagliardetti prima del fischio d’inizio. Sei minuti ed è gol. Ramon Diaz: 1-0. Al 25esimo Antognoni su punizione: 2-0. Secondo tempo: è la volta proprio di Maradona, con una zampata delle sue: 2-1. Ci proverà per tutto il resto della partita a pareggiare i conti. Infine, un incredibile tiro da sessanta metri all’89esimo, roba da cineteca, arriva il gol di Paolo Monelli, appena entrato: 3-1. Gioia incontenibile per me dodicenne: la Fiorentina che fermava il Napoli lanciato verso il primo scudetto, ma che quel giorno perdeva il primato in classifica a favore dell’Inter. Il titolo, Maradona e i suoi lo avrebbero conquistato a maggio, proprio nel ritorno al San Paolo contro la Fiorentina.

Oggi il calcio non lo seguo praticamente più. Non so cosa sia successo, ma c’è qualcosa per cui ritengo che abbia perso tutta la poesia che mi affascinava quando ero bambino. Però ancora oggi quel picnic con l’arrivo di Maradona, quella partita messicana e quella domenica di gennaio sono ben impresse nella mia memoria. E lo resteranno per sempre.

(Sopra: una mia foto a Napoli nel 2018)