Sono appena tornato da un viaggio di due settimane in Umbria. Fra zone che avevo già percorso altre volte per lavoro – Perugia, Assisi – e altre dove invece non ero mai stato come quella di Orvieto.
Proprio quest’area è stata la vera sorpresa per me. Per la bellezza dei paesaggi, certo. Ma anche per il calore della gente. Come Giampiero Rosati, toscano di nascita, titolare dell’agriturismo Locanda Rosati. Dovevo fermarmi una sola sera, ma alla fine ci sono tornato a cena tutte le sere. Lui i suoi ospiti li mette tutti insieme a tavola e mangia lui stesso con loro. Si creano così ogni sera dei gruppi eterogenei e bellissimi, con un vero scambio di culture, davanti a un piatto di umbricelli e a una bottiglia di rosso.
Così nelle sere in cui mi sono fermato a cena mi è capitato di trovarmi a tavola e a fare amicizia con un medico americano e sua moglie, una coppia di ricercatori giapponesi (i nipponici non reggono proprio bene bene il vino, ho potuto constatare…), un insegnante greco e un professore siciliano. Col calore di qualche bicchiere di rosso, del caminetto acceso e anche – lo voglio raccontare – dell’impianto di riscaldamento che funziona coi gusci delle nocciole prodotti dall’azienda agricola.
Ma sono tanti i posti dove ho lavorato in questi giorni e che mi rimarranno nel cuore. Come l’agriturismo Cioccoleta, sempre nelle campagne di Orvieto, una mini struttura semplicissima e familiare, dove ci si sente davvero come a casa. E dove mi è capitato di andarmene in giro a lavorare con una gatta in testa che mi voleva fare da assistente.
Un piccolo sconfinamento nel Lazio mi ha portato a Civita di Bagnoregio, la “città che muore”, come è stata ribattezzata non senza un pizzico di marketing territoriale. Io soffro non poco di vertigini e per superare l’alto ponte pedonale mi ci sono volute due volte. La prima è stata fallimentare e a metà del ‘guado’ sono dovuto tornare indietro. Giusto in tempo per essere ricompensato dagli ultimi raggi di sole su Civita.